mercoledì 11 novembre 2015

Amichevole intervento

VOLEVO SCRIVERE DI ALTRO,MA GIA' LO FAN TUTTI E MI RIFERISCO ALLA MANOVRA PSEUDO FINANZIARIA,ALLE FRANE,AI DISSESTI MORALI,ALLA LEGGE  SULLA cosidetta shoa DI CUI NESSUNO PARLA E CHE ACIURA' LA GIA' MODESTA LIBERTA DI PAROLA CHE ABBIAMO,volevo dire poche parole su comportamenti giovanili segnatamente alla nostra Sant' Egidio,mi si dice che la droga questo rifugio per vili e mentecatti gira in modo spaventoso che (scusate il mio "machismo") addirittura tante ragazze si fanno o quantomeno fumano spinelli,ma ragazzi dove vivete,che cosa pensate di fare biascicando parole come e peggio di un ubriaco,vestendovi(?) come spaventapasseri per essere alternativi,ribelli o credendo di esserlo,bene sappiate che vi è stata una generazione anzi piu di una che 70 anni fa  a guerra persa ha imbracciato il FUCILE,IL MITRA ed è andata a morire per riscattare la vergogna di una resa,va detto che altri ragazzi/e han fatto il loro come i partigiani (so bene che a scuola viene detto il contrario ma Guai ai vinti diceva Cesare),altri come il sottoscritto e con esso ragazzi nati alla fine degli anni '50 hanno scelto la via della Lotta politica,di cercare quantomeno cercare di cambiare qualcosa nella società,certo vi sono stati errori ed orrori, tanto sangue,carcere,vite distrutte,vecchiaia(la media d i noi militanti  di "destra" e "sinistra" è vicina ai 60 anni o poco piu')abbiamo risolto qualcosa,cambiato il mondo?NO puttana miseria, ma ci abbiamo provato,abbiamo dato noi stessi a cause,ideali che ci sembravano giusti,forse lo erano,forse no,ma lo abbiamo fatto e certo il nostro cervello piu' o meno funzionante non è stato venduto a NESSUNO,E NEANCHE HAN PROVATO A COMPRARCI,ora voi cari ragazzi potete dire lo stesso e badate non sto a sfidarvi,ma non dovete buttare cosi' la vostra vita perchè solo quella avete,sceglietevi uno sport,fate giri a piedi,in bici,auto per scoprire il nostro stupendo Abruzzo di cui probabilmente avete visto solo  quelle carceri rumorose chiamate discoteche o meglio chalet  o roba del genere,noi sicuramente su questo piu' fortunati avevamo almeno  qualche ora ove poter ascoltare musica decente(conoscete certamente PINK FLOYD,LED ZEPPELIN,WHO,i nostri LE ORME,BATTISTI,DE ANDRE',PREMIATA FORNERIA ecc..) ora vegetate tra rumori assurdi,ritornelli che i bambini dell' asilo scriverebbero meglio,no cari ragazzi la Paternale italiana non americana perchè Roth lo abbiamo letto pure noi...faccio capire che ho letto qualcosa scusatemi. e con esso TUTTA la Beat Generation,Tolkien,Junger(l' uomo che vide tre comete) Mishima,Pasolini scritti che vi invito a leggere,capire per avere una visione del mondo,della vita diversa,no non sono fascisti,bolscevichi,anarchici lo scrittore noè mai una "cosa" sola,ESSI SONO  UOMINI che hanno messo su carta il loro vissuto,le propie lotte.
Mi scuso se vi ho dato l' impressione di un predicatore,sapte bene che non è e mai sarà cosi, le ho combinate pure io,mi chiamano(troppa grazia)Leggenda da piu' di 30 anni, mia figlia credo viva il suo momento con voi piu' o meno diversamente,sapete sono stato il luoghi non proprio belli,ho visto le distruzioni arrecate nelle vite dei giovani da questa che continuo a chiamare vigliacca dama...ragazzi datele Scacco matto,riprendetevi la gioia di vivere,di cantare,giocare si giocare anche se avete 20/22 anni,perchè come diceva un antico detto:
L' UOMO E' LA PUNTA DI UNA LANCIA LA CUI ASTA AFFONDA NEI MILLENNI.


"Leggenda"




giovedì 10 settembre 2015

I poliziotti del Coisp contro Ascanio Celestini: "Il tuo film su Giuseppe Uva fa cagare perché condanna gli agenti a priori

Il sindacato di polizia Coisp regisce duramente alla presentazione dell'ultimo film di Ascanio Celestini "Viva la sposa!", ispirato alla morte del carpentiere Giuseppe Uva avvenuta a Varese il 14 giugno del 2008 e per la quale la sorella Lucia chiede giustizia, convinta che determinanti siano state le percosse subìte nella caserma dei carabinieri dove fu portato quella notte.
Per gli agenti del Coisp l'opera di Celestini, che sarà presentata all'imminente 72mo Festival del cinema di Venezia, condanna a priori gli agenti e getta discredito sulle forze dell'ordine:
Nel modo in cui, con altrettanta “competenza” possiamo affermare che il suo film fa schifo, signor Celestini, glielo diciamo senza averlo visto, senza mai aver fatto gli attori, senza mai aver fatto un minuto di regia o di teatro. Il suo film è orrendamente dozzinale e gli attori che lo interpretano non sanno recitare. Eppure noi non siamo attori.
Non ne sappiamo nulla, eppure noi diciamo che la sua opera, scusi il termine un po’ forte, fa cagare. Affermiamo anche, senza avere alcuna competenza in merito, che lei recita come un cane e che dietro la macchina da presa fa ancora più pena.
Il Coisp fa riferimento al blog dell'attore romano sul Fatto quotidiano, dove anticipa le tematiche di "Viva la sposa!":
Mettere assieme i concetti di “noi e loro” dove loro sono “le guardie” come le chiama lei, non ci fa che presagire l’ennesimo populistico attacco a chi è chiamato a rappresentare lo Stato.
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Attualmente è in corso un processo per stabilire le vere cause della morte di Uva. Dopo un processo travagliato agli operatori sanitari, tutti assolti, ora è in corso un procedimento contro i due agenti e i cinque carabinieri che nella notte tra il 13 e il 14 giugno trascinarono l'operaio nella caserma di via Saffi e, stando alle parole dell'amico Alberto Biggiogeri, lo picchiarono a sangue.


Morti di Stato: servono ‘contrappesi’ alle forze dell’ordine

C’era da aspettarsi il chiasso di qualche micro-sindacato di polizia, i cui dirigenti saltano sulla sedia ogni qual volta la stampa cerchi di approfondire temi di cruciale importanza come i rapporti tra l’autorità ed i cittadini.Sarebbe quindi una perdita di tempo, spiegare loro che le forze dell’ordine e la posizione del controllo sociale nell’architettura istituzionale di uno stato moderno, sono tematiche complesse ed ambigue; come dice Amnesty International nel suo“Understanding Policies”, la polizia nel mondo è un’agenzia che al contempo viola e tutela diritti umani: da un lato infligge torture e trattamenti inumani e degradanti, mentre dall’altro svolge un ruolo cruciale per la tenuta democratica di uno stato, garantisce il diritto al dissenso, a volte protegge i cittadini dagli abusi della politica.”Questa ambiguità si lega a due concetti discussi tanto dall’opinione pubblica quanto dal mondo accademico anglosassone fin dagli anni ’50. Soprattutto il concetto di “responsabilità” (accountability) delle forze dell’ordine e quello di “codice del silenzio” (blue code of silence) sono pilastri del pensiero critico sull’operato della polizia, ben radicati nella cultura nord americana; il primo indica la responsabilità civile e penale degli agenti, per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni mentre il secondo si riferisce alla “codice del silenzio”, una serie di norme non scritte condivise da alcuni singoli e gruppi all’interno del corpo di polizia che esortano a non denunciare abusi commessi da parte di colleghi, nell’idea (errata) che il corpo sia una sorta di fratellanza con una propria soggettività. Nelle storie raccontate da Iacona la scorsa settimana, questi due elementi sono stati il leit-motiv della lunga puntata di Presa Diretta: dal caso Aldrovandi, alla vicenda Rasman, fino alla morte di Stefano Cucchi la polizia ha utilizzato il principio di discrezionalità spingendolo poi, come dicono le diverse sentenze, sul terreno dell’arbitrio. Il “codice del silenzio”ad esempio, è stato un elemento chiave nella vicenda Aldrovandi, dove gli agenti di polizia hanno mentito a proposito delle dinamiche della vicenda poi ricostruita dal tribunale, cercando di sollevarsi (a vicenda) dalle responsabilità. Ma la sensazione più forte, il nodo alla gola che ha stretto chiunque abbia provato a leggere le documentazioni o ad ascoltare le ricostruzioni di quelle storie raccapriccianti è il contesto “ordinario” dove sono maturate: non c’è coinvolta criminalità organizzata, non si parla di estremo degrado sociale. No. Si racconta invece di vicende ordinarie di gente ordinaria, che una volta illuminate dai lampeggianti blu delle volanti, sono diventate l’inferno. L’italiano comune è rimasto scosso perché si è immedesimato nelle madri, nei fratelli e negli amici ed è stato colpito dal senso di claustrofobia che suscita l’assenza di “appello” o di un qualunque strumento che consenta al cittadino di proteggersi dalla discrezionalità che diventa arbitrio. Quis custodiet ipsos custodes (chi controlla i controllori) è un antico dilemma che il grado di elevata complessità della società di oggi, ha messo a nudo con le telecamere che riprendevano i pestaggi a danno dei manifestanti a Genova o con la struggente foto del volto tumefatto di Federico Aldrovandi. Di casi di mala amministrazione è piena la cronaca ma gli agenti di polizia, vale la pena ricordarlo, non sono pubblici ufficiali come gli altri; svolgono un ruolo determinante nella società, essendo gli unici cittadini legittimati all’uso della forza. E se viene da sé che fronteggiare i problemi di ogni giorno di un paese, richiede un certo grado di discrezionalità nell’azione quotidiana è altresì vero che il confine tra questa ed arbitrio è spesso tanto sottile da risultare impercettibile.In Italia non esistono efficaci strumenti per i cittadini, in funzione di “controllo dei controllori”: come si sa, non esiste il codice identificativo sulle divise, non esiste un organismo come l’ombudsman inglese, un ufficio dotato di ampi poteri ispettivi che tuteli i cittadini da eventuali abusi delle forze dell’ordine, non esistono deterrenti legali contro la devianza delle forze dell’ordine, a cominciare dall’assenza nell’ordinamento del reato di tortura. Manca inoltre una solida concettualizzazione sul modello di polizia; a livello accademico sono pochi gli studi in italiano (tra tutti spiccano i lavori di Salvatore Palidda docente di sociologia presso l’Università di Genova) a fronte di una vastissima letteraturanordamericana che ha mosso i primi passi addirittura negli anni ’50. Che gli agenti non lavorino tutti in una macelleria messicana e gran parte di loro svolga il proprio dovere con onestà è un dato incontrovertibile ma scaricare le colpe dei tanti noti casi di mala polizia (e dei tanti altri che non si conoscono) solo sulle “mele marce” è un’operazione riduttiva. D’altronde l’ex prefetto di Genova, Angela Burlando, nel libro “Ripensare la Polizia” aveva definito “incompleta” la riforma del 1981. Sicuramente, a giudicare dalla vicende dei “Morti di Stato” e dalla difficoltà dei familiari nell’ottenere giustizia, bisognerebbe ripartire proprio da quei “contrappesi” che mancano alle forze dell’ordine in Italia, tanto sul piano legislativo quanto su quello culturale.

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lunedì 3 agosto 2015

GIUSTIZIA PER IL SENTIERO DI NICOLA



INFORMAZIONE CONTRO LA DI SINFORMAZIONE
Invitiamo a tutti i lettori di fare informazione sulla vicenda,copiando i link o seguendo direttamente la pagina facebook:
https://www.facebook.com/pages/IL-Sentiero-DI-Nicola/500042300085440?sk=timeline

Ho subito una cerebro lesione tutte le mie funzioni piano piano hanno iniziato a regredire.....e peggiorarono dopo che mi sottoposero anche ad un bel vaccino trivalente......dicendo che a maggior ragione vista la mia encefalopatia,dovevo proteggermi.....mi sono trovato 4 anni fa sul letto dell ospedale in fin di vita,senza speranza! dopo più di 10 ricoveri alla ricerca del nulla.....x fortuna i miei genitori mi hanno portato a casa e ci hanno pensato loro a me'!!!!hanno ascoltato il loro istinto e io sono ancora vivo....ho tantissimi problemi,sono imprigionato nel mio corpo.. non posso nemmeno grattarmi il nasino se mi prude! vorrei ma non riesco! ma sono ancora qui e combatto con il papa'e la mamma x il diritto alla scelta e alla liberta'di cura e il diritto alla vita!!!!la mia diagnosi e'grave encefalopatia epilettica postvaccinale farmacoresistente.! x me' non c'è cura riconosciuta... gli unici metodi che mi fanno stare meglio non sono riconosciuti......ma sono gli unici che ad oggi mi hanno fatto stare (bene)l'unico metodo che puo' darmi qualche speranza x una vita più dignitosa sono le cellule staminali......ma purtroppo in Italia solo pochi fortunati le hanno potute fare...... mio padre e altra gente lotta x poter evitare che un domani possa ricapitare una situazione del genere.......
dove poteri forti calpestino ancora i nostri diritti!!!!!
sono anche stato in tribunale dove un giudice del lavoro ha visto bene di decidere di non farmi accedere ad una metodica compassionevole!!!!!...si sono arrabbiato xche' potevo avere una vita normale ma un vaccino legalizzato dallo stato me l ha rovinata!!e sempre questo stato impedisce a mio padre e mia madre di curarmi come meglio credono!!! bisogna cambiare tante cose in questo paese.
cominciando dall'indifferenza della gente.....
questa pagina serve anche x portare la gente ad una scelta consapevole per quanto riguarda le vaccinazioni e come mezzo di contatto fra professionisti seri...con i miei faccio informazione contro la disinformazione....vi abbraccio tutti e mi raccomando SEMPRE LOTTARE!!!
NOI NON MOLLEREMO MAI!!!!
FINCHE' NICOLA AVRA' GIUSTIZIA......
E FINCHE'AD ALTRI NON TOCCHI IL SUO STESSO SENTIERO!!!!


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Hi! My name is NICOLA and I’ve been in perfect health for the whole of my first year of life. Then, after my third 6-in-1 vaccine booster, I became unable to hold my head up any longer… and all my normal body functions progressively failed… Then the doctors decided to give me a 3-in-1 vaccine, claiming that I needed protection even more so because I suffered from encephalopathy… As a result, three years ago I found myself in hospital, close to death; the doctors gave me no hope! After being admitted to hospital more than 10 times, with no doctor able to explain my condition, my parents luckily brought me home and took care of me!!! They followed their instinct and I’m still alive… I’ve got loads of problems; I’m “imprisoned” in my body… I’m not even able to scratch my nose when it’s itchy! I’d really like to but I just can’t! But I’m still here and, together with mum and dad, I fight for the Right to Free Treatment Choice and for the Right to Life!!! My diagnosis is: severe epileptic post-vaccine drug-resistant encephalopathy! There’s no known treatment for me… The only treatment that could give me hope of living a more decent life is: Stem Cells. My dad and other people are fighting to make stem cell treatments available to all those who need them!!! I’ve even been to court, but that employment judge decided to deny me the treatment!!!... Yes, I’m furious because I could have had a normal life but a government-legalized vaccine has destroyed it!!! And the same government denies my mum and dad the right to choose the treatment they think is better for me!!! Do you think my parents could ever give me a dangerous treatment? Of that I’m sure: they wouldn’t!!! With my parents I promote information against ignorance… I send you all my hugest hugs and, please, KEEP ON FIGHTING!!!

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Hallo, ich bin NICOLA und bin gesund auf die Welt gekommen und es ging mir gut, bis zum ersten Jahr alles ok! Nach der dritten sechswertigen Impfung, begann ich, meinen Kopf nicht mehr halten zu können.......

und all meine Funktionen haben sich langsam zurückgebildet bis die sanitären Einrichtungen mich auch noch einer dreiwertigen Impfung unterzogen ....... sie sagten, dass ich mich aufgrund meiner Enzephalopatie umso mehr schützen müsste..... Vor drei Jahren fand ich mich dann in einem Krankenhausbett wieder und lag im Sterben, ohne Hoffnung! Nach mehr als zehn Krankenhausaufenthalten und auf der Suche nach dem Unbekannten .... brachten mich meine Eltern glücklicherweise nach Hause und haben sich um mich gekümmert! Sie haben auf Ihren Instinkt gehört und ich bin immer noch am Leben.... Ich habe so viele Probleme, bin in meinem Körper gefangen.. Ich kann nicht einmal meine Nase kratzen, wenn sie juckt! Ich würde aber ich kann nicht! Aber ich bin immer noch hier und ich kämpfe mit meiner Mutter und meinem Vater für das Recht auf die Behandlung und das Recht auf Leben! Meine Diagnose ist gravierend: arzneimittelresistente epileptische Enzephalopatie hervorgerufen durch eine Impfung! Für mich gibt es keine anerkannten Heilmittel... die einzige Methode, die mir Hoffnung auf ein menschenwürdigeres Leben geben kann sind Stammzellen. Mein Vater und andere Menschen kämpfen damit die Behandlung mir und denjenigen, die es brauchen, zur Verfügung gestellt wird! Ich war auch vor Gericht, wo das Arbeitsgericht entschieden hat, dass ich diese Therapie nicht machen darf! ... Ja ich bin wütend, weil ich ein normales Leben haben könnte, aber ein vom Staat legalisierter Impfstoff hat dieses normale Leben ruiniert! Und der gleiche Staat verhindert nun, dass mein Vater und meine Mutter, mich zu behandeln lassen, wie sie es für richtig halten! Denken sie, dass meine Eltern mich in Gefahr bringen würden? Ich bin mir sicher, dass das nicht passieren würde!!!.... Mit meinen Eltern informiere ich nun über die Fehlinformation/Nichtinformation .... Ich umarme euch alle und ich rate euch IMMER KÄMPFEN !


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Bonjour je m’appelle Nicola, à ma naissance j'étais en bonne santé et je me porté bien jusqu'à l’âge d’un an tout aller bien ! après le troisième vaccin hexavalent j’ai commencé à ne plus garder ma tète droite… et toutes mes compétences petit à petit ont commencé a régresser jusqu'à quand ils m’ont fait un vaccin trivalent ont expliquant que vu ma encéphalopathie je devais être protégé encore mieux. Il y a trois ans, Je me suis retrouvé en fin de vie hospitalisé sans espoir ! Apres plus de 10 hospitalisations en cherchant l’inconnu, heureusement mes parents m’ont amené à la maison et c’est eux qui ce sont occupé de moi ! ils ont écouté leur instinct et je suis encore vivant ! J’ai beaucoup de problèmes, je suis prisonnier dans mon corps. Je ne peux même pas me gratter le née quand je en es besoin! je voudrai me je n’arrive pas ! Mais je suis encore ici et je me bat avec maman et papa pour le droit au soin et pour le droit à la vie ! Mon diagnostique est grave : encéphalopathie épileptique postvaccinal farmacoresistant ! pour moi il y a pas un traitement définis. La seul méthode qui pourrai me donner l’espoir d’une vie meilleur sont les cellules staminales. Mon père et des autres personnes luttent pour que ce traitement puisse être disponible pour moi et tous ce qui en ont besoin ! J'étais aussi au tribunal ou un juge du travail a décidé de ne pas autoriser ce traitement pour moi ! oui je suis fâché car j'aurais pu avoir une vie normale et un vaccin légalisé par l’état me l’a ruinée ! et ces Etat empêche mon père et ma mère de me faire soigner comme ils le souhaitent !! Vous croyez que mes parents pourraient me mettre en danger ? je suis sure que non !! avec mes proches je fais information contre la désinformation … je vous embrasse tous et n’oubliez pas de Lutter toujours !!

martedì 7 luglio 2015

Patrizia Moretti: "io ci sto male, per loro è un mestiere."

Di seguito pubblichiamo la lettera di Patrizia Moretti madre di Federico Aldrovandi:



"Perché rimetto le querele contro Paolo Forlani, Franco Maccari e Carlo Giovanardi
Ho perso Federico che aveva 18 anni la notte del 25 settembre di dieci anni fa per l’azione scellerata di quattro poliziotti che vestivano una divisa dello stato, e forti di quella divisa hanno infierito su mio figlio fino a farlo morire. Non avrebbero mai più dovuto indossarla.
I giudici hanno riconosciuto l’estrema violenza, l’assurda esigenza di “vincere” Federico, e una mancanza di valutazione – da parte di quei quattro agenti – al di fuori da ogni criterio di senso comune, logico, giuridico e umanitario.
Non dovevano più indossare quella divisa: nessuno può indossare una divisa dello stato se pensa che sia giusto o lecito uccidere.  O se pensa che magari non si dovrebbe, ma ogni tanto può succedere, e allora fa lo stesso, il tutto verrà ben coperto. Con la speranza che il sospetto di una morte insensata, inutile e violenta scivoli via fra la rassicurante verità di carte col timbro dello Stato, di fronte alle quali tutti si dovrebbero rassegnare. E poi con quella stessa divisa si continuerà a chiedere il rispetto di quello stesso Stato: che però sarà inevitabilmente più debole e colpevole. Come un padre ubriaco che ha picchiato e ucciso i suoi figli.
Il delitto è stato accertato, le sentenze per omicidio emesse. Invece le divise restano sulle spalle dei condannati fino alla pensione. Fine del discorso.
L’orrore e gli errori, con la morte e dopo la morte di Federico. La mancanza di provvedimenti non guarda al futuro, non protegge i diritti e la vita: non tutela nemmeno l’onestà delle forze dell’ordine.
Alla fine del percorso giudiziario che ha condannato gli agenti tutto ciò ora mi è ben chiaro: ed è il messaggio che voglio continuare a consegnare alla politica e all’amministrazione del mio Paese.
Dopo la morte di Federico, abbiamo dovuto difendere la sua vita vissuta e la sua dignità assurdamente minacciate. Era pazzesco, sembrava il processo contro Federico.
Ho chiesto risposte alla giustizia e la giustizia ha riconosciuto che Federico non doveva morire così.
Il processo è stato per me, mio marito Lino e mio figlio Stefano una fatica atroce, ma era necessario prendervi parte e lottare ad ogni udienza: ci ha sostenuti l’amore per Federico.
Su quel processo e da quel processo in tanti hanno espresso un’opinione. E’ stato un modo per crescere.
Alcuni hanno colto l’occasione per offendere me, Federico e la nostra famiglia. Qualcuno l’ha fatto per quella che ritengo gratuita sciatteria e volgarità, altri per disegni politici volti a negare o a sminuire la responsabilità per la morte di Federico.
Avevo chiesto alla giustizia di tutelarci ancora. In quel momento era l’unica strada, e non me ne pento.
Sono passati due anni dai fatti per cui ho sporto querela. Ci sono state le reazioni pubbliche e anche quelle politiche. Però poi non è cambiato niente.
Ho riflettuto a lungo e ho maturato la decisione di dismettere questa richiesta alle Procure e ai Tribunali: non perché non mi ritenga offesa da chi ha stoltamente proclamato la falsità delle foto di mio figlio sul lettino di obitorio, di chi ha definito mio figlio un “cucciolo di maiale”, o da chi mi ha insultata, diffamata e definita faccia da culo falsa e avvoltoio.
Non dimenticherò mai le offese che mi ha rivolto Paolo Forlani dopo la sentenza della Cassazione: è stati lui, sconosciuto e violento, ad appropriarsi degli ultimi istanti di vita di mio figlio. Le sue offese pubbliche, arroganti e spavalde le ho vissute come lo sputo sprezzante sul corpo di mio figlio. E lo stesso sapore ha ogni applauso dedicato a quei quattro poliziotti. Applausi compiaciuti, applausi alla morte, applausi di morte. Per me non sono nulla di diverso.
Rappresentano un modo di pensare molto diverso dal mio.
Non sarà una sentenza di condanna per diffamazione a fare la differenza nel loro atteggiamento.
Rifiuto di mantenere questo livello basato su bugie e provocazioni per ferirmi ancora e costringermi a rapportarmi con loro. Io ci sto male, per loro – credo di capire – è un mestiere.
Forlani e i suoi colleghi li lascio con le loro offese e i loro applausi, magari ad interrogare ogni tanto quella loro vecchia divisa, quando sarà messa in un cassetto dopo la pensione, sull’onore e la dignità che essa avrebbe preteso.
Un onore che avrebbero minimamente potuto rivendicare se da uomini, cittadini, pubblici ufficiali e servitori dello Stato, coloro che hanno ucciso mio figlio e coloro che li hanno sostenuti avessero raccontato la verità su cosa era successo quella notte, e non invece le menzogne accertate dietro alle quali si sono nascosti prima, durante e dopo il processo, cercando di negare anche l’esistenza di quella mezzora in cui erano stati a contatto con Federico prima dei suoi ultimi respiri.
Da Forlani e dai suoi colleghi avrei voluto in quest’ultimo processo solo la semplice verità, tutta.
Chi ha ucciso Federico sa perfettamente quale strazio sta dando ad una madre, un padre e un fratello privandoli della piena verità dopo avergli strappato il loro figlio e fratello. Nessun onore di indossare la divisa dello stato, nessun onore.
E nessun onore neanche a chi da dieci anni cerca nella morte di mio figlio l’occasione per dire che in fondo andava bene così: i poliziotti non possono aver sbagliato, in fondo deve essere stata colpa di Federico se è morto in quel modo a 18 anni.
Costruite pure su questo le vostre carriere e la vostra visibilità. Dite pure, da oggi in poi, che il mio silenzio è la vostra vittoria. Muscoli, volantini, telecamere, libri, convegni e applausi. Per dire che non c’è stato nessun problema il 25 settembre 2005. E per convincere voi stessi e il vostro pubblico che il problema l’hanno creato solo Federico Aldrovandi e sua madre Patrizia Moretti.
Vi esorto soltanto, da bravi cattolici quali vi dichiarate, a ricordare il quinto comandamento: non uccidere.
Non spenderò più minuti della mia vita per queste persone e per i loro pensieri. Mi voglio sottrarre a questo stillicidio: una fatica soltanto mia che nulla aggiungerebbe utilmente e concretamente a nessuno se non alla loro ansia di visibilità. Trovo stancante anche pronunciare i loro nomi. Inutile commentare le loro dichiarazioni pubbliche.
A dieci anni dalla morte di Federico per il mio ruolo di madre, ma anche per le mie aspirazioni e per la mia attuale visione del mondo, penso che il dedicare anche solo alcuni minuti a persone che disprezzo sia un’imperdonabile perdita di tempo. Non voglio più doverli vedere né ascoltare o parlare di loro.
Perciò ritirerò le querele ancora in corso.
Non lo faccio perché mi è venuta meno la fiducia nella giustizia, ma dieci anni sono troppi, ed è il momento di dire basta.
Non è il perdono, d’altra parte nessuno mi ha mai chiesto scusa, ma prendere atto che per me andare avanti nelle azioni giudiziarie rappresenta soltanto un doloroso e inutile accanimento.
Ritiro le querele perché sono convinta che una sentenza di condanna non potrebbe cambiare persone che  – da quanto capisco – costruiscono la loro carriera sull’aggressività e sul rancore.
Non ci potrà mai essere un dialogo costruttivo, perciò addio.
Questo non significa che verrà meno il mio impegno di cittadina per contribuire a rendere questo paese un po’ più civile, e questo impegno mi vedrà come sempre a fianco dell’associazione degli amici di Federico per l’introduzione del reato di tortura e ogni altra forma di trasparenza e giustizia.
C’è molta strada da fare: confronti, discussioni, leggi giuste. Bisogna affrontare il problema degli abusi in divisa in modo costruttivo.
Le parole e le espressioni contro Federico, contro me e la nostra famiglia le lascio alla valutazione in coscienza di chi ha avuto il coraggio di dirle. E soprattutto alla valutazione di chi se le ricorda. Io ne conservo solo il disprezzo.
Per me l’onore è un’altra cosa.
L’onore appartiene a chi ha cercato di capire, a chi ha ascoltato la coscienza e a chi ha fatto professionalmente il proprio dovere, a chi ha messo il cuore e l’arte oltre quel muro di gomma costruito attorno all’omicidio di Federico, a tutti coloro che gli dedicano un pensiero, un rimpianto, gli mandano un bacio.
Sono queste le persone che ringrazierò sempre, è grazie a loro che Federico è stato restituito al suo onore di figlio, fratello, amico, ragazzo che voleva vivere, e tornare a casa."
Patrizia Moretti

sabato 4 luglio 2015

Processo Uva, sfilano i testi della difesa

Uva era calmo o era agitato mentre era al triage del Pronto Soccorso dell’ospedale di Varese, quella mattina del 18 giugno 2008, giorno in cui morì? Secondo i due carabinieri che lo hanno piantonato tra le 6 e le 8 era molto tranquillo, secondo l’agente di Polizia Locale che era lì con loro a partire dalle 7,30 era agitato, insultava le forze dell’ordine e cercava di alzarsi dalla barella a cui era stato legato (probabilmente mani e piedi) in attesa dell’autorizzazione al trattamento sanitario obbligatorio. Si calmò, ma sarebbe meglio dire che cadde in un sonno profondo, solo dopo che gli venne somministrato un farmaco calmante da parte del personale infermieristico.Piccole contraddizioni nei testi della difesa ma che, in una vicenda così controversa e dibattuta, possono fare la differenza, sempre. Oggi è stato il turno dei testimoni delle difese dei sei poliziotti e del carabiniere imputati di omicidio preterintenzionale, arresto illegale e altri reati inerenti ai fatti avvenuti tra la notte del 17 giugno 2008 in questura e la mattina del 18 in ospedale.Nicola Susco, all’epoca carabiniere in servizio alla Radiomobile come capopattuglia, Era in servizio quel giorno. Ha raccontato di essere stato chiamato in Pronto Soccorso per dare ausilio al brigadiere Righetto che smontava dal turno: «Sono stato a contatto con Giuseppe Uva ma a distanza. Sono arrivato alle 6,45 e l’ho visto tranquillo, era sul lettino. Ad un certo punto mi sono avvicinato perchè si lamentava. Diceva che le cinture erano strette e che gli davano fastidio alle gambe e alle braccia. Non le vedevo perchè c’era una coperta sopra. Polsi e gambe erano sicuramente legate. Chiesi agli infermieri se potevano staccare le cinghie perchè era tranquillo. So che lo hanno fatto ma non ricordo chi». Alla versione di Fusco, l’appuntato Giovanni Noto che era con lui ha aggiunto solo di aver sentito dire a Uva «di non somministrargli medicinali perchè era allergico», ma anche lui l’ha definito tranquillo. L’agente della Locale Mauro Saredi, invece, ricorda che «arrivammo alle 7,15 circa. Vidi Giuseppe Uva e i due carabinieri. Lo ricordo cosciente, disteso sulla barella, molto agitato, aveva l’alito che sapeva di alcol. Diceva parole contro le forze dell’ordine e cercava di alzarsi ma era legato. Un infermiere somministrò un farmaco a Uva che dopo poco si addormentò profondamente. Venne portato a fare una schermografia e poi fu spostato in psichiatria. Dopo due ore dormiva ancora, poi siamo stati mandati via perchè non c’era più bisogno di noi».Tra i testi della difesa c’era anche Silvana Ilacqua, moglie di Nicola Uva, che ha parlato dei suoi rapporti con uno degli imputati, il poliziotto Luigi Empirio che conosceva perchè i figli erano amici e compagni di scuola, e del rapporto con Giuseppe Uva: «Con Giuseppe avevamo buoni rapporti, frequentava casa nostra, ci dormiva anche a volte. Era Molto legato anche a nostro figlio». Invitata a ripercorrere con la memoria il giorno della morte del cognato ha rcordato «ero stata chiamata da Mara, sorella di Nicola. Mi disse che Giuseppe era ricoverato al Ps. Dopo un po’ ricevetti una seconda chiamata in cui mi disse che era morto in psichiatria. Mio marito era in dialisi, venne staccato dalla macchina in anticipo e lo portai all’ospedale. Non ho visto il corpo, sono rimasta nel corridoio dell’obitorio e non ho visto i suoi vestiti se non dentro ad un sacco».Interrogata dalla difesa sui rapporti con l’agente indagato: «Il giorno della morte di Pino mio figlio doveva andare alla festa del figlio di Empirio. Quando andai a riprenderlo parlammo di quello che era successo e lui mi disse che quella notte era lì, gli chiesi perchè non ci chiamò per andare a riprenderlo e lui rispode che non poteva farlo. Disse che era ubriaco e che secondo lui aveva preso della droga». La donna ha anche raccontato delle volte in cui parlò con Empirio e con altri imputati (Dal Bosco, Righetto e Colucci) di quello che avvenne prima della morte di Uva. La donna ha anche confermato di aver saputo dallo stesso cognato e da due amici di Giuseppe (accompagnati in auto il giorno del funerale) che aveva una relazione con la moglie di un carabiniere.Infine hanno testimoniato anche un’infermiera e una operatrice socio sanitaria che conoscevano Immacolata Russo, l’operatrice che disse di aver raccolto la confidenza da Giuseppe Uva in merito ai maltrattamenti in caserma, le quali hanno negato di averne mai sentito parlare dalla donna.Il 7 maggio si svolgerà la prossima udienza del processo durante la quale ci sarà il confronto tra i tre periti che hanno relazionato sul corpo di Giuseppe Uva e sulle cause della sua morte.



venerdì 3 luglio 2015

Michele Ferrulli : assolti i 4 agenti



Michele Ferrulli morto il 30 giugno 2011 dopo un fermo di polizia a Milano in via Varsavia.
Michele è stato immobilizato a terra ammanettato e nonostante la sua richiesta di aiuto i 4 agenti non si sono fermati, sono andati avanti a picchiarlo a manganellate...... NON SIAMO NOI A DIRLO NON C'ERAVAMO... MA C'è UN VIDEO CHE LO DIMOSTRA!!!


IL 19 2012 aprile la procura di milano termina le indagini, i 4 agenti vengono indagati per omicidio colposo derubricando l'omicidio preterintenzionale e dichiarazioni false.
Il 20 luglio 2012 inizia l'udienza preliminare , l'avvocato Anselmo richiede al Gup il cambio d'imputazione da omicidio colposo a omicidio preterintenzionale.
il 17 settembre 2012 il gup accoglie la richiesta dell'avvocato Anselmo i 4 agenti vengono rinviati a giudizio per omicidio preterintenzionale e dichiarazioni false.
il 4 dicembre 2012 inizio' il processo a carico di 4 agenti di polizia, Michele Lucchetti, Francesco Ercoli, Sebastiano Cannizzoe Roberto Stefano Piva.

Il processo di primo grado si è concluso pochi giorni fà con l'assoluzione dei poliziotti. Ma la vicenda giudiziaria è lontana dalla conclusione. La figlia di Michele, Domenica, e i familiari, stanno aspettando la fissazione dell’udienza del secondo grado del processo.

La sentenza di assoluzione, infatti, lascia molti dubbi, sui quali si sono incentrati gli appelli non solo delle parti civili. Anche il pubblico ministero che ha trattato il fascicolo in primo grado, ha depositato un corposo atto, mettendo in luce i molti aspetti della morte di Ferrulli che sono rimasti oscuri. Ad assistere le parti civili nel giudizio di appello ci sarà, oltre a Valentina Finamore, l’avvocato Carlo Federico Grosso, uno dei massimi penalisti italiani.

Di seguito alcune righe ricevute da Domenica,la figlia di michele:

"Francesco Ercoli nn avesse dato uno schiaffo a mio padre sicuramente nn sarebbe successo nulla.
Se i suoi colleghi:
Michele Lucchetti non avesse dato 3/4 pugni in testa a mio padre, se Sebastiano Cannizzo non avesse dato 7/8 colpi, se Roberto Stefano Piva, padre di un figlio non gli si fosse parcheggiato addosso, schiacciandolo. 

Sarebbe tornato a casa.
Qualcuno poteva fermare i suoi colleghi.
Inutile il tentativo di rianimazione.Ormai era troppo tardi.Mio padre nn doveva essere picchiato.
Mio padre sarebbe rientrato a casa.

Eccoli i 4 bravi ragazzi.Talmente bravi educati e rispettosi da essere indagati x omicidio preterintenzionale e dichiarazioni false."
  




lunedì 8 giugno 2015

Onirico Film Festival 2015---Si inizia!!!!

Ufficialmente l' ‪#‎oniricofestival‬ Apre i Battenti Questo Martedì con ONIRICO FILM FESTIVAL. Siete tutti Invitati alla Prima Proiezione dalle oRe 21,30 con il Film Pluripremiato e osannato dalla Critica Cinematografica DIAZ. ‪#‎ingressolibero‬


Onirico Film Festival 2015

Si avvia la prima collaborazione con l'associazione Officina culturale Parco della Musica.
La prima serata sarà martedi  09/06 presso il Parco della musica Sant'Egidio alla Vibrata

A più di dieci anni dai fatti, Vicari racconta la Genova del G8. Con una rete efficace di flashback e flashforward, sceneggiatura e regia riportano alla memoria lo scempio del diritto, della democrazia, della dignità delle persone e dei loro corpi perpetrato da "servitori dello Stato" fra il 20 e il 21 luglio 2001, prima nella caserma Diaz e poi in quella di Bolzaneto. Accurato, incalzante, giustamente "doloroso".

 La sentenza della Corte di Strasburgo di quest'anno, che condanna il nostro Paese per l'irruzione della polizia alla Diaz durante il G8 del 2001, è arrivata infatti prima che il Parlamento abbia legiferato in questo senso. La Corte Europea per i Diritti Umani ha stabilito che il blitz operato dagli agenti nella scuola va «qualificato come tortura» ed è quindi da condannare anche la legislazione italiana perché non prevede una simile fattispecie di reato. In particolare i giudici di Strasburgo ritengono sia stato violato l'articolo 3 che impone il «divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti» e soprattutto giudicano la risposta delle autorità italiane «inadeguata». La sentenza ha accolto il ricorso di uno dei manifestanti che aveva deciso di passare la notte nella scuola insieme ad altre decine di persone.
Oltretutto la sentenza crea un precedente per altri ricorsi ancora pendenti che riguardano sia i fatti della Diaz sia le violenze subite nella caserma di Bolzaneto.
La Cassazione nel 2012 confermò la condanna per i vertici della Polizia coinvolti nel blitz alla Diaz che furono sospesi dal servizio ma prescrisse le lesioni per gli agenti protagonisti dei pestaggi.

SCHEDA FILM

Luca è un giornalista della Gazzetta di Bologna. È il 20 luglio 2001, l'attenzione della stampa è catalizzata dagli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine durante il vertice G8 di Genova. In redazione arriva la notizia della morte di Carlo Giuliani. Luca decide di partire per Genova, vuole vedere di persona cosa sta succedendo. Alma è un'anarchica tedesca che ha partecipato agli scontri. Sconvolta dalle violenze cui ha assistito, decide di occuparsi delle persone disperse insieme a Marco, un organizzatore del Genoa Social Forum, e Franci, una giovane avvocato del Genoa Legal forum. Max, vicequestore aggiunto del primo reparto mobile di Roma, comanda il VII nucleo e non vede l’ora di tornare a casa da sua moglie e sua figlia. Luca, Alma, Nick, Marco e centinaia di altre persone incrociano i loro destini la notte del 21 luglio 2001. Poco prima della mezzanotte centinaia di poliziotti irrompono nel complesso scolastico Diaz-Pascoli, sede del Genoa Social Forum adibita per l'occasione a dormitorio.


CAST TECNICO
Regia:Daniele Vicari
Sceneggiatura:Daniele VicariLaura Paolucci

Musiche:
Teho Teardo
Montaggio:
Benni Atria

CAST
Luca Gualtieri:
Elio Germano
Max Flamini:
Claudio Santamaria
Pippo Delbono
Rodolfo Serpieri:
Rolando Ravello
Marco Cerone:
Alessandro Roja
Marzio Pisapia:
Ignazio Oliva
Alma Koch:
Jennifer Ulrich
Monica Barladeanu
Maria:
Aylin Prandi
Alessandro Vitali:
Renato Scarpa
Marco:
Davide Iacopini
Francesco Scarponi:
Paolo Calabresi
Nick Janssen:
Fabrizio Rongione


DATI
Anno:
2011

Nazione:
Italia / Romania / Francia

Distribuzione:
Fandango

Durata:
120 min

Data uscita in Italia:
13 aprile 2012






mercoledì 13 maggio 2015

Accadeva oggi : il 13 maggio 1990, il famoso calcio di Boban.

Difese un supporter manganellato dagli agenti serbi e diventò un mito. Accadde il 13 maggio 1990, quando militava nella Dinamo Zagabria. Prima del match contro gli storici rivali della Stella Rossa sugli spalti accadde di tutto


Gli incidenti di Belgrado portano inevitabilmente al passato, anche se all'interno di scenari diversi, quando la Jugoslavia era una nazione, ma già sull'orlo della guerra civile. Il 13 maggio 1990 è passato alla storia come una delle pagine più nere del calcio balcanico. Si gioca allo stadio Maksimir di Zagabria; avversari e rivali da sempre la squadra di casa della Dinamo e la Stella Rossa di Belgrado. Astro nascente e nuovo simbolo della Dinamo è Zvonimir Boban, 21 anni, trequartista.
LA CRONACA — La partita, valida per il campionato, in realtà non comincia nemmeno, perché sugli spalti accade di tutto. Le due tifoserie si fronteggiano e in pochi minuti la situazione degenera drammaticamente. La polizia a maggioranza serba, propensa a chiudere un occhio nei confronti dei tifosi ospiti, carica quelli della Dinamo, con manganelli e gas lacrimogeni. La reazione è immediata: i supporter di casa invadono il campo a caccia dei rivali serbi. Intervengono così i reparti antisommossa, che utilizzano autoblindati e cannoni ad acqua.
LA REAZIONE DI BOBAN — Quando i giocatori della Dinamo tentano di convincere i tifosi a riprendere il loro posto, avviene il fatto più eclatante: Boban colpisce un agente con un calcio volante per proteggere un giovane tifoso croato dalle manganellate della polizia federale jugoslava; Boban viene tratto in salvo da alcuni supporter e dirigenti della Dinamo. La rivolta si esaurisce solo a notte fonda, dentro e all'esterno dello stadio, con una marea di arresti e feriti. Boban, che diventerà un eroe per il popolo croato, rischia l'arresto, ma sarà sospeso per sei mesi e non verrà convocato ai Mondiali del 1990 in Italia. "Ho reagito a una grande ingiustizia, così chiara che uno non poteva rimanere indifferente. Quando il poliziotto mi ha colpito, ho risposto" raccontò poi Boban, tutto sommato uno dei punti di partenza dell'indipendenza croata.



Cancro, come prevenirlo e curarlo

E' stata pubblicata un’importante review nella quale sono stati riesaminati tutti gli studi esistenti sul rischio riguardante diversi tipi di cancro in base allo stile di vita scelto. Questa review, pubblicata congiuntamente dal World Cancer Research Fund (WCRF) e dall’American Institute for Cancer Research (AICR), mettendo insieme le ricerche di alta qualità e l’esperienza scientifica internazionale, fa il punto della situazione sulla conoscenza delle relazioni tra alimentazione, caratteristiche del corpo, attività fisica e i diversi tipi di cancro.


mercoledì 6 maggio 2015

Bergamini, ancora nessuna decisione

Il gip del tribunale di Castrovillari potrebbe decidere entro l'estate o in autunno sulla richiesta di archiaviazione avanzata dalla Procura sul caso del calciatore morto nel 1989 a Roseto Capo Spulico

CASTROVILLARI I genitori e la sorella di Donato Bergamini, morto in circostanze misteriose il 18 novembre 1989 a Roseto Capo Spulico, hanno presentato opposizione alla richiesta di archiviazione nei confronti dei due indagati nell'inchiesta sul decesso dell'ex calciatore, Isabella Internò e Raffaele Pisano. Le due richieste di archiviazione sono state presentate al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari. La richiesta di archiviazione nei confronti di Internò e Pisano era stata avanzata il 22 dicembre scorso dalla Procura della Repubblica di Castrovillari. Isabella Internò, ex fidanzata di Bergamini, è indagata per concorso in omicidio, mentre il camionista Raffaele Pisano è coinvolto nell'inchiesta per false dichiarazioni e favoreggiamento.
Le due opposizioni all'archiviazioni sono state presentate dal padre e dalla sorella dell'ex calciatore, Domizio e Donata Bergamini, assistiti dall'avvocato Eugenio Gallerani, e dalla madre, Maria Zerbini, assistita dall'avvocato Vincenzo Adamo.
L'inchiesta sulla morte di Bergamini era stata riaperta il 18 luglio 2011 su disposizione del giudice per le indagini preliminari, Pasquale Collazzo, che aveva accolto la richiesta della Procura alla quale era stata presentata una richiesta in tal senso dai familiari del calciatore. Nel corso della nuova inchiesta, da una perizia dei Ris di Messina era emerso che il calciatore non suicidò lanciandosi sotto un camion, ma era già morto quando fu investito. Isabella Internò è l'unica testimone oculare di quel presunto incidente stradale. Alla riapertura dell'inchiesta la Procura decise di sentire l'ex fidanzata del calciatore come testimone e a distanza di pochi mesi fu sottoposta a indagine.

lunedì 4 maggio 2015

Accadeva oggi :Tragedia del grande Toro

Torino 4 maggio 1949 notte - nebbia, pioggia, vento, silenzio laddove 6 ore fa si è sfracellato l'aeroplano che riportava a Torino la più bella squadra di calcio d'Italia. Un pallido, rossastro riverbero illumina ancora palpitando le muraglie della Basilica di Superga. Un pneumatico dell'apparecchio sta ancora bruciando, ma la fiamma cede, tra poco sarà completamente buio. Lo spaventoso disastro è successo alle 17:05. Superga era avvolta in una fitta nebbia. A 30 metri non si vedeva niente. Nella sua stanza al primo piano della basilica il cappellano del tempio, prof. Don Tancredi Ricca stava leggendo.
La pioggia, una impetuosa pioggia quasi da temporale scintillava scrosciano contro i vetri. Dal silenzio usciva poco a poco un rombo. Un aeroplano, pensò don Ricca. Ma ne passano tanti di aeroplani, un traguardo fra gli aviatori in arrivo. Prima di scendere al campo aeronautica d'Italia i piloti usano fare un picco sopra la Basilica, un ultimo giro.
Niente di strano, dunque ... Non è vero! Non è vero! Alcune ore sono passate prima che i torinesi, diciamo gli italiani, uscissero a conoscere nella sua selvaggia crudeltà questa sciagura.
Pare che pochi minuti prima della tragedia il marconista del campo di Torino in collegamento radio col collega a bordo dell'apparecchio ha scambiato con lui brevi messaggi. L'aereo - un 212 Fiat trimotore - gli avrebbe richiesto l'orientamento comunicando di trovarsi in mezzo a una formazione temporalesca a 2000 metri di quota. Poco dopo l'aeroplano si frantumava contro il pianterreno di Superga.
Possibile che in così breve tempo, tenendo conto della visibilità che avrebbe dovuto consigliare prudenza, l'aereo fosse disceso di quasi 1300 metri? E' sorto così il dubbio che l'altimetro si sia bloccato e che quindi il pilota, convinto di essere sempre a una quota notevole, non dubitasse minimamente del tremendo pericolo a cui andava incontro. C'è qualcuno che assicura di aver rintracciato il cruscotto e visto il quadrante dell'altimetro. Secondo questa testimonianza non ancora controllabile, la lancetta è ferma e punta a quota 2000. Se ciò fosse vero, sarebbe trovato il motivo principale del disastro.
 
Ore 17:03 ultimo messaggio:
"Ok. Arriviamo".

Ore 16:45, campo di volo dell'Aeronautica. La pioggia che ha provocato danni in tutto il Piemonte scende con raffiche violente, le nubi incombono basse, cupe. Nella cabina della stazione radio un silenzio angosciato: si aspettano messaggi da parte dell'aereo del Torino atteso per le 17:00. Finalmente un tichettio dell'apparecchio. Il tasto batte: "Siamo sopra Savona. Voliamo di sotto delle nubi, 2000 metri, fra 20 minuti saremo a Torino". La notizia giunge al bar vicino, dove tutti brindano. Il tasto riprende a battere: "__.__..__" VUole il rilevamento radiogonometrico. E' un'operazione semplice. Piton ci mette pochi secondi "QSM 280°".
 
Alle 17:02 la richiesta del bollettino metereologico: "Nebulosità intensa, raffiche di pioggia, visibilità scarsa, nubi 500 metri".
Ore 17:03. L'aereo trasmette: "Ricevuto, sta bene, grazie mille".
E' l'ultimo messaggio.





Nessuna squadra al mondo ha mai rappresentato per il calcio tutto ciò che è riuscito al Grande Torino.
L'Italia in quegli anni era reduce da una guerra perduta, avevamo poca credibilità internazionale e furono le gesta dei nostri campioni a rimetterci all'onore del mondo: Bartali, Coppi, il discobolo Consolini, le macchine della Ferrari e appunto il Grande Torino che, essendo una squadra, 

dimostrava a tutti come un popolo di individualisti come gli italiani sapessero far fronte comune per dare vita al più bel complesso di calcio mai visto e mai più comparso su un campo di calcio.
La Juventus del Qinquennio, il Real Madrid, il Santos, la Honved, l'Inter di Herrera, l'Ajax e il Milan degli olandesi hanno rappresentato, è vero, eventi tecnici straordinari, ma nessuno ha pareggiato il Grande Torino.
I granata, guidati da Valentino Mazzola, il capitano dei capitani, hanno record strabilianti e assolutamente irripetibili. Bastava, per esempio, uno squillo del trombettiere del Filadelfia perchè si scatenassero. Leggendaria, per esempio, una partita romana quando il Grande Torino, in svantaggio di un gol nel primo tempo contro i giallorossi, stabili negli spogliatoi, durante il riposo, che non si doveva più scherzare. Fu così che vennero segnati 7 gol a dimostrazione che quella squadra vinceva come e quando voleva.


Non per nulla l'11 maggio del 1947, Vittorio Pozzo, il commissario tecnico della Nazionale, vestì dieci granata d'azzurro per una partita disputata a Torino contro l'Ungheria.
I nostri eroi naturalmente vinsero. E avrebbero continuato a vincere su tutti i fronti se non fosse sceso in campo il destino più tragico per fermarli. Ma non per batterli. Perchè quella squadra di grandi uomini e di grandi campioni è passata direttamente alla leggenda.
Le vittime della tragedia:
Giocatori
Dirigenti
  • Arnaldo Agnisetta
  • Ippolito Civalleri
  • Andrea Bonaiuti (organizzatore delle trasferte della squadra granata)
Allenatori
Giornalisti
Equipaggio
  • Pierluigi Meroni
  • Celeste D’Inca
  • Cesare Biancardi
  • Antonio Pangrazi