mercoledì 13 maggio 2015

Accadeva oggi : il 13 maggio 1990, il famoso calcio di Boban.

Difese un supporter manganellato dagli agenti serbi e diventò un mito. Accadde il 13 maggio 1990, quando militava nella Dinamo Zagabria. Prima del match contro gli storici rivali della Stella Rossa sugli spalti accadde di tutto


Gli incidenti di Belgrado portano inevitabilmente al passato, anche se all'interno di scenari diversi, quando la Jugoslavia era una nazione, ma già sull'orlo della guerra civile. Il 13 maggio 1990 è passato alla storia come una delle pagine più nere del calcio balcanico. Si gioca allo stadio Maksimir di Zagabria; avversari e rivali da sempre la squadra di casa della Dinamo e la Stella Rossa di Belgrado. Astro nascente e nuovo simbolo della Dinamo è Zvonimir Boban, 21 anni, trequartista.
LA CRONACA — La partita, valida per il campionato, in realtà non comincia nemmeno, perché sugli spalti accade di tutto. Le due tifoserie si fronteggiano e in pochi minuti la situazione degenera drammaticamente. La polizia a maggioranza serba, propensa a chiudere un occhio nei confronti dei tifosi ospiti, carica quelli della Dinamo, con manganelli e gas lacrimogeni. La reazione è immediata: i supporter di casa invadono il campo a caccia dei rivali serbi. Intervengono così i reparti antisommossa, che utilizzano autoblindati e cannoni ad acqua.
LA REAZIONE DI BOBAN — Quando i giocatori della Dinamo tentano di convincere i tifosi a riprendere il loro posto, avviene il fatto più eclatante: Boban colpisce un agente con un calcio volante per proteggere un giovane tifoso croato dalle manganellate della polizia federale jugoslava; Boban viene tratto in salvo da alcuni supporter e dirigenti della Dinamo. La rivolta si esaurisce solo a notte fonda, dentro e all'esterno dello stadio, con una marea di arresti e feriti. Boban, che diventerà un eroe per il popolo croato, rischia l'arresto, ma sarà sospeso per sei mesi e non verrà convocato ai Mondiali del 1990 in Italia. "Ho reagito a una grande ingiustizia, così chiara che uno non poteva rimanere indifferente. Quando il poliziotto mi ha colpito, ho risposto" raccontò poi Boban, tutto sommato uno dei punti di partenza dell'indipendenza croata.



Cancro, come prevenirlo e curarlo

E' stata pubblicata un’importante review nella quale sono stati riesaminati tutti gli studi esistenti sul rischio riguardante diversi tipi di cancro in base allo stile di vita scelto. Questa review, pubblicata congiuntamente dal World Cancer Research Fund (WCRF) e dall’American Institute for Cancer Research (AICR), mettendo insieme le ricerche di alta qualità e l’esperienza scientifica internazionale, fa il punto della situazione sulla conoscenza delle relazioni tra alimentazione, caratteristiche del corpo, attività fisica e i diversi tipi di cancro.


mercoledì 6 maggio 2015

Bergamini, ancora nessuna decisione

Il gip del tribunale di Castrovillari potrebbe decidere entro l'estate o in autunno sulla richiesta di archiaviazione avanzata dalla Procura sul caso del calciatore morto nel 1989 a Roseto Capo Spulico

CASTROVILLARI I genitori e la sorella di Donato Bergamini, morto in circostanze misteriose il 18 novembre 1989 a Roseto Capo Spulico, hanno presentato opposizione alla richiesta di archiviazione nei confronti dei due indagati nell'inchiesta sul decesso dell'ex calciatore, Isabella Internò e Raffaele Pisano. Le due richieste di archiviazione sono state presentate al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari. La richiesta di archiviazione nei confronti di Internò e Pisano era stata avanzata il 22 dicembre scorso dalla Procura della Repubblica di Castrovillari. Isabella Internò, ex fidanzata di Bergamini, è indagata per concorso in omicidio, mentre il camionista Raffaele Pisano è coinvolto nell'inchiesta per false dichiarazioni e favoreggiamento.
Le due opposizioni all'archiviazioni sono state presentate dal padre e dalla sorella dell'ex calciatore, Domizio e Donata Bergamini, assistiti dall'avvocato Eugenio Gallerani, e dalla madre, Maria Zerbini, assistita dall'avvocato Vincenzo Adamo.
L'inchiesta sulla morte di Bergamini era stata riaperta il 18 luglio 2011 su disposizione del giudice per le indagini preliminari, Pasquale Collazzo, che aveva accolto la richiesta della Procura alla quale era stata presentata una richiesta in tal senso dai familiari del calciatore. Nel corso della nuova inchiesta, da una perizia dei Ris di Messina era emerso che il calciatore non suicidò lanciandosi sotto un camion, ma era già morto quando fu investito. Isabella Internò è l'unica testimone oculare di quel presunto incidente stradale. Alla riapertura dell'inchiesta la Procura decise di sentire l'ex fidanzata del calciatore come testimone e a distanza di pochi mesi fu sottoposta a indagine.

lunedì 4 maggio 2015

Accadeva oggi :Tragedia del grande Toro

Torino 4 maggio 1949 notte - nebbia, pioggia, vento, silenzio laddove 6 ore fa si è sfracellato l'aeroplano che riportava a Torino la più bella squadra di calcio d'Italia. Un pallido, rossastro riverbero illumina ancora palpitando le muraglie della Basilica di Superga. Un pneumatico dell'apparecchio sta ancora bruciando, ma la fiamma cede, tra poco sarà completamente buio. Lo spaventoso disastro è successo alle 17:05. Superga era avvolta in una fitta nebbia. A 30 metri non si vedeva niente. Nella sua stanza al primo piano della basilica il cappellano del tempio, prof. Don Tancredi Ricca stava leggendo.
La pioggia, una impetuosa pioggia quasi da temporale scintillava scrosciano contro i vetri. Dal silenzio usciva poco a poco un rombo. Un aeroplano, pensò don Ricca. Ma ne passano tanti di aeroplani, un traguardo fra gli aviatori in arrivo. Prima di scendere al campo aeronautica d'Italia i piloti usano fare un picco sopra la Basilica, un ultimo giro.
Niente di strano, dunque ... Non è vero! Non è vero! Alcune ore sono passate prima che i torinesi, diciamo gli italiani, uscissero a conoscere nella sua selvaggia crudeltà questa sciagura.
Pare che pochi minuti prima della tragedia il marconista del campo di Torino in collegamento radio col collega a bordo dell'apparecchio ha scambiato con lui brevi messaggi. L'aereo - un 212 Fiat trimotore - gli avrebbe richiesto l'orientamento comunicando di trovarsi in mezzo a una formazione temporalesca a 2000 metri di quota. Poco dopo l'aeroplano si frantumava contro il pianterreno di Superga.
Possibile che in così breve tempo, tenendo conto della visibilità che avrebbe dovuto consigliare prudenza, l'aereo fosse disceso di quasi 1300 metri? E' sorto così il dubbio che l'altimetro si sia bloccato e che quindi il pilota, convinto di essere sempre a una quota notevole, non dubitasse minimamente del tremendo pericolo a cui andava incontro. C'è qualcuno che assicura di aver rintracciato il cruscotto e visto il quadrante dell'altimetro. Secondo questa testimonianza non ancora controllabile, la lancetta è ferma e punta a quota 2000. Se ciò fosse vero, sarebbe trovato il motivo principale del disastro.
 
Ore 17:03 ultimo messaggio:
"Ok. Arriviamo".

Ore 16:45, campo di volo dell'Aeronautica. La pioggia che ha provocato danni in tutto il Piemonte scende con raffiche violente, le nubi incombono basse, cupe. Nella cabina della stazione radio un silenzio angosciato: si aspettano messaggi da parte dell'aereo del Torino atteso per le 17:00. Finalmente un tichettio dell'apparecchio. Il tasto batte: "Siamo sopra Savona. Voliamo di sotto delle nubi, 2000 metri, fra 20 minuti saremo a Torino". La notizia giunge al bar vicino, dove tutti brindano. Il tasto riprende a battere: "__.__..__" VUole il rilevamento radiogonometrico. E' un'operazione semplice. Piton ci mette pochi secondi "QSM 280°".
 
Alle 17:02 la richiesta del bollettino metereologico: "Nebulosità intensa, raffiche di pioggia, visibilità scarsa, nubi 500 metri".
Ore 17:03. L'aereo trasmette: "Ricevuto, sta bene, grazie mille".
E' l'ultimo messaggio.





Nessuna squadra al mondo ha mai rappresentato per il calcio tutto ciò che è riuscito al Grande Torino.
L'Italia in quegli anni era reduce da una guerra perduta, avevamo poca credibilità internazionale e furono le gesta dei nostri campioni a rimetterci all'onore del mondo: Bartali, Coppi, il discobolo Consolini, le macchine della Ferrari e appunto il Grande Torino che, essendo una squadra, 

dimostrava a tutti come un popolo di individualisti come gli italiani sapessero far fronte comune per dare vita al più bel complesso di calcio mai visto e mai più comparso su un campo di calcio.
La Juventus del Qinquennio, il Real Madrid, il Santos, la Honved, l'Inter di Herrera, l'Ajax e il Milan degli olandesi hanno rappresentato, è vero, eventi tecnici straordinari, ma nessuno ha pareggiato il Grande Torino.
I granata, guidati da Valentino Mazzola, il capitano dei capitani, hanno record strabilianti e assolutamente irripetibili. Bastava, per esempio, uno squillo del trombettiere del Filadelfia perchè si scatenassero. Leggendaria, per esempio, una partita romana quando il Grande Torino, in svantaggio di un gol nel primo tempo contro i giallorossi, stabili negli spogliatoi, durante il riposo, che non si doveva più scherzare. Fu così che vennero segnati 7 gol a dimostrazione che quella squadra vinceva come e quando voleva.


Non per nulla l'11 maggio del 1947, Vittorio Pozzo, il commissario tecnico della Nazionale, vestì dieci granata d'azzurro per una partita disputata a Torino contro l'Ungheria.
I nostri eroi naturalmente vinsero. E avrebbero continuato a vincere su tutti i fronti se non fosse sceso in campo il destino più tragico per fermarli. Ma non per batterli. Perchè quella squadra di grandi uomini e di grandi campioni è passata direttamente alla leggenda.
Le vittime della tragedia:
Giocatori
Dirigenti
  • Arnaldo Agnisetta
  • Ippolito Civalleri
  • Andrea Bonaiuti (organizzatore delle trasferte della squadra granata)
Allenatori
Giornalisti
Equipaggio
  • Pierluigi Meroni
  • Celeste D’Inca
  • Cesare Biancardi
  • Antonio Pangrazi

La famiglia Rasman vuole che si sappia…

Nel 2009, nell'ambito del processo per la prima volta nella storia della Repubblica, degli agenti della Polizia di Stato sono stati condannati per omicidio colposo
Daniele Martinelli, che realizzò video,succesivamente postati sul web, fu querelato per diffamazione e ha gentilmente pubblicato la sua testimonianza:


"Ricordo ancora la querela penale per diffamazione che ricevetti dai legali degli agenti condannati per l'omicidio di Riccardo Rasman. Non gli era piaciuto come avevo raccontato sul blog la vicenda della loro irruzione nel piccolo appartamento della vittima. Riccardo Rasman morì legato e incaprettato col fil di ferro. Per loro fu troppo definire "aggressione" quel tragico blitz. S'attaccarono alle parole nella speranza di aver ragione. Nel frattempo, loro, sono stati condannati per omicidio anche se non hanno fatto nemmeno un giorno di galera. Non solo. Non hanno nemmeno smesso i panni degli agenti, visto che da Trieste sono stati trasferiti a Mestre. La querela si è tradotta in una sola udienza svoltasi al tribunale di Trieste nel 2011. Il mio legale ha chiesto ottenuto il trasferimento del procedimento a Milano per competenza territoriale. Ad oggi, dopo ormai 7 anni, nessun pm del palazzaccio meneghino ha ancora deciso se procedere o se archiviare. Dato il tempo passato, la querela dovrebbe essere ormai caduta in prescrizione."

Adesso il ministero dell'interno e i 3 poliziotti condannati nel 2009 sono stati condannati al risarcimento di 1.200.000 euro nei confronti della famiglia di Riccardo.


"Il ministero dell’Interno è stato condannato, con tre poliziotti, a risarcire per un milione e 200mila euro i famigliari di Riccardo Rasman, il disabile morto a Trieste nel 2006 dopo un’irruzione della polizia in casa sua. Il legale della famiglia, Claudio Defilippi, presenterà appello perché ritiene la somma non sufficiente. "Questo", ha detto il legale, "è un caso ancora più grave di quello di Federico Aldrovandi per il quale lo Stato è stato condannato a pagare circa il doppio". Nel 2009 sono stati condannati gli agenti Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi a sei mesi con la condizionale. I tre non sono mai andati in carcere e sono tutt’ora in servizio. Defilippi contesta il fatto che il giudice civile di Trieste non abbia riconosciuto ai famigliari il danno patrimoniale e quello "tanatologico", ovvero il danno subito da Rasman e tramandabile alla sua famiglia. Famiglia che è "stremata, dopo dieci anni di battaglia contro lo Stato", ha spiegato il legale secondo il quale, in attesa di un pronunciamento in appello, "lo Stato potrebbe almeno pagare quei 500mila euro che aveva offerto in via transattiva" ma che i famigliari di Rasman non avevano accettato perché avrebbe posto fine alla causa."